«Non è affatto assurdo tentare la diagnosi di una civiltà partendo dai giochi che segnatamente vi fioriscono».
Così affermava nel 19767 Roger Caillois nel suo I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine. Oggi, un’antropologa del MIT di nome Natasha Dow Schull cerca di applicare questo principio all’attuale società americana partendo dall’analisi del gioco d’azzardo.
Nel suo Addiction by Design: Machine Gambling in Las Vegas (2012) Schull si sofferma in particolare sull’enorme successo del gioco con slot machine. La prima considerazione a riguardo parte da un dato: l’80% degli introiti delle sale da gioco di Las Vegas deriva da slot machine, lasciando in secondo piano i giochi da tavolo come il poker. Secondo Schull, questo sarebbe un segnale di una crescente dimensione individualizzata del gioco d’azzardo, specchio di una tendenza al controllo e alla prevedibilità che nascerebbe per contrasto rispetto a una situazione personale e sociale percepita come eccessivamente complessa.
In tema di prevedibilità dell’esperienza, Schull nota come con le slot machine si giochi non tanto per vincere quanto per restare in una “zona di comfort” in cui le preoccupazioni quotidiane rispetto alla sfera economica vengono esorcizzate e mantenute sospese in un limbo fatto di suoni e luci tranquillizzanti. In questo processo l’interazione con una macchina – e non con persone – risulta cruciale nel sostenere la natura privata del gioco e dei suoi esiti.
[ illustrazione: fotogramma tratto dal film Casino di Martin Scorsese, 1995 ]