ANTROPOLOGIA, CULTURA, DEMOCRAZIA, GEOGRAFIA, GIOCO, POLITICA, SOCIETÀ, SPORT

Il gioco del calcio, osservatorio di globalizzazione

Bizzarro confrontarsi con l’idea del calcio come motore di globalizzazione diretto verso gli USA. Bizzarro soprattutto per un europeo, da almeno settant’anni bersaglio di un inverso movimento di colonizzazione culturale. Eppure – nota l’americano Franklin Foer, autore di un testo dall’icastico titolo How Soccer Explains the World – il calcio può essere considerato, nelle mani del sociologo o dell’antropologo culturale, uno strumento per comprendere le dinamiche di globalizzazione.

A proposito degli USA, se è vero che il baseball è in declino e che il rito del calcio sta lentamente iniziando a diffondersi oltreoceano, questo sorprendente – e per molti versi tardivo – fenomeno illustra, oltre al possibile decadimento di una tradizione, le opportunità di indagine offerte dal calcio come cultura. Nota Foer:

«Nel gioco della globalizzazione, lo sport ha una posizione più avanzata di quella di qualsiasi altra economia sul pianeta. Per questo il calcio offre intuizioni, fra le altre cose, sul perché le multinazionali falliscono nell’alleviare la povertà; sul come il fondamentalismo religioso possa essere indebolito; su come i nazionalismi possano emergere in una forma più illuminata».

A differenza di altri sport, il calcio è caratterizzato da una componente sociale che, nel male e nel bene, eleva il suo valore simbolico e identitario. Per quanto riguarda il male, Foer pare non essere ignaro delle celebri parole di Jorge Luis Borges, che affermando «Il calcio è popolare perché la stupidità è popolare» aveva in mente le derive tribali e autoritarie che uno sport di massa porta invariabilmente con sé.

Sul fronte delle positività, riconducibili a una pacifica lotta di classe o all’ascesa sociale, Foer cita il caso di due squadre di calcio di Buenos Aires, Boca Juniors e River Plate, identificate ciascuna da un preciso legame con una classe sociale di riferimento. Oppure il ruolo rivestito dal Barcellona per i catalani nel contrastare ideologicamente il regime franchista. Oppure ancora, la vittoria della Francia nei campionati del mondo del 1998, il cui valore fu anche quello di una celebrazione della nuova multi-culturalità nazionale. Perfino aspetti frivoli quali il taglio di capelli di David Beckham possono rappresentare – nota Foer – un motore di riconoscimento identitario ed emancipazione sociale per molte nazioni prive della libertà di pensiero ed espressione che per un occidentale appare forse scontata.

[ illustrazione: fotografia di Hans Van Der Meer dalla serie European Fields ]

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SOCIETÀ, SPORT

E sei i mondiali di calcio si giocassero a tre porte?

«Immaginate una partita di calcio disputata non da due, ma da tre squadre: dall’inevitabile e mutante collaborazione tra i giocatori in campo vedrete emergere l’equilibrio perfetto».

Con queste parole del 1962, l’artista situazionista danese Asger Jorn (1914-1973) intendeva offrire un contributo metaforico al superamento della tensione bi-polare innescata dalla Guerra Fredda. Occorre un terzo soggetto, notava Jorn, proprio come in una partita di calcio a tre porte.

Difficilmente Jorn poteva immaginare che la sua utopia si sarebbe trasformata in realtà. Di certo non in maniera così letterale: a trent’anni di distanza, l’Associazione Psicogeografica di Londra ha preso molto sul serio le parole dell’artista danese, dando vita al 3-sided-football. Un articolo di «Pagina99» del 07.06.14 ne racconta gli sviluppi.

A partire dai suoi esordi londinesi, nel corso degli anni ’90 e 2000 il calcio a tre sponde si è diffuso in tutto il mondo (perfino in Italia, grazie ad alcune sperimentazioni condotte in centri sociali grazie al collettivo Luther Blissett), mantenendo in ogni caso un forte radicamento anglosassone. Il ruolo critico che questa variante situazionista del calcio può assumere, soprattutto in giornate in cui un Paese martoriato dalla povertà come il Brasile sta per essere invaso da una kermesse a uso e consumo della società dello spettacolo, può essere fondamentale. A renderlo evidente sono le parole del docente gallese Geoff Andrews, attento studioso della situazione politica italiana e ovviamente sostenitore del 3-sided-football:

«Se per Asger Jorn il calcio a tre lati era una forma di critica alla deriva capitalista, mezzo secolo dopo per noi è la risposta dal basso al Corporate Football degli sceicchi, degli oligarchi, degli sponsor e delle pay-tv».

[ illustrazione: particolare da un poster realizzato dall’agenzia The Invisible Dot per un torneo di 3-sided-football tenutosi a Edimburgo ]

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