APPRENDIMENTO, CINEMA, COMPLESSITÀ, CONOSCENZA, IMMAGINI, PERCEZIONE, TECNOLOGIA, VIDEOGIOCHI

In difesa del cinema, metafora di visione e comprensione

Il regista Davide Ferrario riflette su La Lettura de «Il Corriere della Sera» riguardo al tema della visione. «Non sappiamo più guardare», afferma il regista di Dopo mezzanotte (2004), imputando questa degradazione percettiva alla progressiva diffusione di schermi sempre più piccoli, che producono una visione limitata, focalizzata e privata. Dei 140° di cui è capace il campo visivo dei nostri occhi, tendiamo a usarne solo un terzo, privilegiando una focalizzazione di dettaglio che lascia in uno sfocato secondo piano il contesto.

Citando le sperimentazioni del Cinemascope, Ferrario ricorda che il cinema nasce come esperienza visiva totale e comunitaria. Al contrario, il piano visuale offerto dai monitor somiglia più a una lente o a un mirino che non a una finestra sul mondo. Se pare fin troppo facile prendersela con videogame e selfie (contro cui lo stesso Ferrario non manca di puntare il dito), è proprio dall’analisi critica di questi strumenti che emerge il tema centrale della questione. A ben vedere, il problema non è tanto quello di una diminuita o depotenziata percezione (al contrario, l’occhio degli smartphone rappresenta per certi versi un acuimento del nostro sguardo), quanto dello smarrimento del rapporto fra visione e comprensione.

Com-prendere significa abbracciare e accogliere. Per potersi disporre a queste attività, c’è bisogno di disponibilità e tempo. Si tratta dunque della profondità dello sguardo ancor più che della sua ampiezza. Il principale difetto dei monitor è quello di presentare – per di più a grande velocità – immagini piatte e compresse. Se il Cinemascope si basava sull’immersione e sulla tridimensionalità, quanto visto su un monitor non va mai oltre la superficie levigata dello schermo. Lo sguardo tende ad aderire a questa superficie scivolando via veloce, senza portarsi via nulla. Ciò che è più grave, questa logica è ormai talmente interiorizzata da essere applicata non solo alla visione di filmati su Youtube, ma anche a tour cittadini, visite al museo e, per tornare all’inizio del discorso, visioni di film.

Il linguaggio cinematografico – per lo meno quello che non si arrende ai cliché del piccolo schermo imposti dai sempre più popolari serial – continua fortunatamente a rappresentare una preziosa risorsa di “allenamento” alla relazione fra visione e comprensione. Il primo passo è quello di andare al cinema a vedere un buon film: i benefici di questa attività si faranno evidenti in ogni ambito della vita in cui ciò che conta è riuscire ad andare oltre la superficie.

[ illustrazione: fotogramma dal film Persona di Ingmar Bergman, 1966 ]

APPRENDIMENTO, EPISTEMOLOGIA, IMMAGINI, LETTERATURA, PAROLE, PERCEZIONE, RAPPRESENTAZIONE

Il mondo così com’è

Conoscere il mondo è un’immodesta pretesa, aggravata dall’incapacità di fare a meno delle parole. Ricorrere alla loro mediazione significa applicare etichette atte a riconoscere e trasmettere esperienze altrimenti condannate alla soggettività. Ma cosa accade quando la relazione si inverte, cioè quando non siamo noi ad apporre etichette alle cose, ma le cose stesse a emanare parole? È quel che si chiedono, nella graphic novel Il mondo così com’è (2014), Massimo Giacon e Tiziano Scarpa.

Alfio Betiz, protagonista del racconto, è affetto da una curiosa quanto grave patologia neurologica, causa di allucinazioni “grafiche” la cui forma è quella di messaggi – resi nelle tavole di Giacon con classici balloon fumettistici – emanati dalle cose che lo circondano:

«Il mondo gli apriva un varco per svelargli ciò che pensavano le cose. A volte erano pensieri profondi, a volte stupidaggini belle e buone, ma non era una rivelazione anche questa?»

Il mondo così com’è si dà a vedere ad Alfio Betiz visualizzando il pensiero tacito delle cose. Avvicinarsi ai segreti dell’inanimato lo porta in breve a distanziarsi dagli affetti delle persone. Fa eccezione la dottoressa Zedda, del cui interesse non è dato comprendere appieno la natura: il suo amore è volto ad Alfio o alla di lui malattia? Mentre ci si pone questa domanda, le condizioni della malattia peggiorano e, forse per contrappasso rispetto all’eccesso di visione sul mondo loro concesso, gli occhi di Alfio iniziano progressivamente a perdere funzione, fino a giungere alla cecità. Avvicinandosi alle sue ultime pagine, il tono del racconto diventa tragico, facendosi riflessione sull’attaccamento alla vita, alle relazioni, alle cose:

«Come mai ci affezioniamo alle cose solo quando stiamo per perderle?»

[ illustrazione: particolare di una tavola da Il mondo così com’è (2014) di Massimo Giacon e Tiziano Scarpa ]

COMPLESSITÀ, IMMAGINI, PERCEZIONE, RAPPRESENTAZIONE, SEGNI

Abitare la complessità, imparando dalle immagini

«Con le parole presentiamo una accumulazione; con le immagini una totalità. Le parole sono perfette per analizzare un’esperienza; per esprimere la totalità abbiamo bisogno delle immagini».

Questa citazione è tratta da L’ordine complicato. Come costruire un’immagine (2008) di Yona Friedman. Questo testo mette in luce come la gestione di ciò che appare complesso necessiti di strumenti diversi da quelli abituali. Il raffronto fra testo e immagine sta a indicare esattamente questa opportunità: se il testo è senza dubbio lo strumento conoscitivo predominante nella civiltà occidentale, l’immagine – a partire dal suo ruolo defilato (in quanto ritenuta dominio dell’immaginario e non della “verità”) – è in grado di offrire un diverso approccio alla conoscenza, che senza la pretesa di essere “superiore” aiuta a costruire un punto di vista più ricco.

Le immagini sono in grado di esplorare e raccontare la complessità grazie alla loro capacità sintetica. Questo è quanto intende Friedman: la totalità che un’immagine restituisce agevola una comprensione sistemica – e non, come solitamente fa il testo, lineare – di ciò che ci circonda. Disegnare e in generale utilizzare le immagini aiuta, per dirla con gli americani, a costruire una “big picture” di un contesto e dunque a orientarsi meglio al suo interno.

[ illustrazione tratta da L’Ordine Complicato (2008) di Yona Friedman ]