Un articolo del «Guardian» mette in luce quanto il comune uso dei dati sia distorto da cattive interpretazioni. Prendendo in considerazione statistiche su temi quali religione, diritto di voto, immigrazione, disoccupazione, maternità in età minore, l’inchiesta mostra come dal confronto fra nazioni diverse emerga una altrettanto differente tendenza a sopravvalutare o sottovalutare alcuni dati. La media fra le varie stime corrette o scorrette dà modo di calcolare, secondo l’interpretazione del quotidiano inglese, un peculiare “indice di accuratezza e ignoranza” nazionale. Su 14 stati presi in esame, la Svezia si posiziona al primo posto come nazione più accurata. L’Inghilterra, ovviamente presa di mira dal «Guardian», non se la cava male, situandosi in quinta posizione. E l’Italia? Manco a dirlo, finisce al 14° posto, conquistando il podio di nazione più ignorante. In poche parole, noi italiani saremmo i peggiori nel far uso di dati, finendo vittima di pregiudizi che, nel nostro particolare caso, soffrirebbero di un costante orientamento a una visione più nera e funesta di quella offerta dai dati “corretti”. Niente di nuovo, verrebbe da dire.
Ma che dire di una statistica che pretende di essere comprensiva e risulta arbitrariamente basata su sole quattordici nazioni? Sono forse – da una prospettiva strettamente eurocentrica – le più importanti del mondo? E dove sono allora Cina e Russia? E come – e perché, e da chi – sono state scelte le categorie di osservazione? È curioso che un’indagine volta a mettere in discussione i pregiudizi culturali legati all’interpretazione di dati resti così platealmente – e inconsapevolmente – vittima di una cieca fiducia in dati altrettanto pregiudizievolmente selezionati e commentati. Per una volta, forse, essere finiti in coda a una classifica non dovrebbe farci preoccupare troppo.
[ illustrazione: fotogramma dal clip Qualcuno Vota 5Stelle de Il Terzo Segreto di Satira – trasmesso da LA7 ]