Vi è un frammento di Simonide (556 – 468 a.C), poeta lirico greco originario dell’isola di Ceo, che icasticamente descrive la relazione fra parola, percezione e racconto attraverso un parallelismo con il mondo delle immagini:
La parola è un’immagine delle cose.
Secondo la poetessa e saggista americana Anne Carson, la possibilità di pensare in questi termini la parola – e dunque l’opera poetica – è offerta a Simonide dalla trasformazione della pittura in atto nella Grecia del quinto secolo a.C., sulla scorta dell’opera di Polignoto di Taso e degli artisti che lo seguirono. Nel suo Economia dell’imperduto (1999, tradotto in italiano nel 2020) Carson nota come scorcio, prospettiva lineare e gradazione delle sfumature abbiano trasformato la superficie piana in un mondo di miraggi, capace di ispirare Simonide e la scrittura a venire a un’inedita arte mimetica:
Nessun altro scrittore greco di quel periodo, tranne forse Eraclito, usa il linguaggio in questo modo, come un’unità «sintetica e in tensione» che mette in scena la realtà di cui parla. Questa è la mimesi nel suo meccanismo più radicale. Questa è la struttura ossea dell’inganno poetico.
Con un considerevole salto nel tempo, nella multiforme e personalissima opera Una vita dolce (2022) di Beppe Sebaste la scrittura torna a trovare una sua similitudine nella pittura:
Immagino di scrivere facendo scorrere il pennello sul muro, e far cosí apparire fili di parole morbide e compatte, frasi pescate dal pennello nei barattoli di vernice. C’è bisogno di una trama per pitturare un muro, per far crescere una bougainvillea? La storia non è già l’uomo o la donna che scrive, che dipinge il muro, che innaffia i fiori?
Sebaste prosegue descrivendo la sua fascinazione per l’opera di Paul Cézanne (1839-1906), un altro innovatore della pittura costantemente alla ricerca dell’essenza delle cose. Sebaste guarda a Cézanne come a un’ispirazione per la sua scrittura, riconoscendosi in compagnia di illustri predecessori come Allen Ginsberg (1926-1977), che ammirava la capacità di Cèzanne di “dipingere il guardare” ed Ernest Hemingway (1899-1961), in uno dei cui racconti il pittore francese riveste un ruolo importante. In Scrivere, contenuto nella raccolta I racconti di Nick Adams (1972), Hemingway scrive così del suo Nick:
Lui voleva scrivere come Cézanne dipingeva. Cézanne cominciò con tutti i trucchi. Poi demolì tutto e costruì la cosa vera. Fu tremendo da fare. Fu lui il più grande. Il più grande d’ogni tempo e per sempre.
L’ambizione del Nick di Hemingway, prendendo le mosse dalla trasfigurazione del reale che troviamo in Cèzanne, conduce la scrittura alla ricerca di quell’immagine delle cose che, secondo l’antico sapere di Simonide, la parola può evocare. In un cammino fra mimesi e astrazione, seguire i percorsi che collegano immagine e parola offre spunti per descrivere l’ambizione forse più alta della scrittura, quella di farsi libera, leggera, ammaliante.
[ Illustrazione: Paul Cèzanne, Il lago di Annecy, 1896. Londra, Courtauld Institute Galleries ]