ANTROPOLOGIA, APPRENDIMENTO, CAMBIAMENTO, CREATIVITÀ, EPISTEMOLOGIA, SCRITTURA, TECNOLOGIA

Scrivere a mano serve ancora a qualcosa?

Un recente articolo del «New York Times» raccoglie e commenta le più aggiornate opinioni della neuroscienza riguardo lo scrivere a mano. Se il decadimento dello studio della calligrafia nelle scuole è un dato di fatto – che trova un ironico contraltare nella nuova “alfabetizzazione manuale” imposta alle dita di ragazzi e adolescenti da smartphone e tablet – , quel che soprattutto conta chiedersi è se scrivere a mano e a computer siano attività equivalenti rispetto alle capacità di ragionamento e apprendimento.

Partiamo dai più piccoli: quando un bambino scrive usando una penna, produce parole più velocemente che con una tastiera. Non solo, afferma la neuroscienza: è anche in grado di recepire più idee. Passando alle aule universitarie, chi prende appunti su carta è uno studente più produttivo rispetto a chi lo fa con un computer. Si badi: nonostante quanto l’intuito potrebbe suggerire, la posizione di svantaggio del computer non ha molto a che fare con le distrazioni offerte da una connessione a internet. Ciò di cui il battere sui tasti pare privo è la relazione con un processo di riflessione e manipolazione concettuale che solo lo scrivere a mano è in grado di innescare.

Pensare con carta e penna attiva aree del cervello legate all’apprendimento che restano “spente” quando lavoriamo con un computer; aiuta a memorizzare, a organizzarsi, a sviluppare senso del controllo. La materializzazione del pensiero resa possibile dallo scrivere a mano rappresenta dunque una risorsa fondamentale e a oggi insuperata per lo sviluppo cognitivo e per la capacità di apprendere.

[ illustrazione: foglio dal manoscritto di Elsa Morante per L’isola di Arturo, edito nel 1957 ]

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