«Drinking, while sleeping, strangers unknowingly keep me company. The only words I’ve said today are beer and thank you».
da: Bill Callahan, The Sing
In Inghilterra è in corso una rivoluzione antropologica destinata a influire tanto sull’ethos nazionale quanto sull’immaginario collettivo: il pub, da immemorabile tradizione luogo di incontro, convivialità e sonore sbronze, è scosso da mutamenti collettivi fino a un paio di lustri fa inimmaginabili. Gli inglesi d’oggi si iscrivono in palestra e mangiano gourmet; professano il wellness e ripudiano l’ham and eggs. Fanno tappa in birrifici artigianali e biologici dove fare rifornirsi di alcool in vista di frugali consumi casalinghi. Sembra proprio che la cultura del boozing stia passando di moda, almeno stando alla brutalità dei dati: oggi si beve il 20% meno rispetto al decennio scorso. Quanto ai circa 50.000 pub tradizionali sparsi per la Gran Bretagna, in 28 alla settimana risuona per l’ultima volta la campanella del last call delle 11 p.m.
Fra chi intende opporsi a questo stillicidio, spicca l’organizzazione “Campaign for real Ale”, le parole del cui portavoce Tom Stainer suonano così:
«Non puoi sentirti solo in un pub. Anche se non parli a nessuno, puoi stare seduto in un angolo a leggere il giornale, farti una pinta e sentirti comunque parte della società. Questa è una delle gran cose dei pub».
Difficile non concordare. Ancor più difficile immaginare come mettere in salvo un senso di comunità che rischia di annegare nella frammentazione di miriadi di addomesticate solitudini domestiche.
[ illustrazione: John French Sloan, McSorley’s Bar, 1912 ]