L’immagine qui sopra risale al 1985 ed è una delle ultime opere di Andy Warhol (1928-1987). È stata realizzata con un personal computer Amiga 1000 ed è rimasta fino a oggi nascosta in un floppy disk.

Warhol fu, insieme alla cantante dei Blondie – e icona dell’underground newyorkese – Debbie Harry, testimonial dell’Amiga 1000. Ne fu anche designer dell’aspetto esteriore e grande utilizzatore. L’Amiga 1000 era per l’epoca un computer all’avanguardia, basato sul più avanzato sistema operativo disponibile (il “workbench”) e capace di rendere a schermo ben 4096 colori (la maggior parte dei computer dell’epoca arrivava al massimo a 16).

L’esistenza di una serie di floppy disk su cui Warhol poteva aver registrato sue immagini è stata nota per lungo tempo, ma fino a poco tempo fa nessuno si era ancora avventurato negli archivi del Warhol Museum di Pittsburgh (Pennsylvania) per scovarli. In questa impresa si è imbarcato un team di ricercatori del “Computer Club” della Carnegie Mellon University. Il loro lavoro sui preziosi e fragili floppy disk ha richiesto ben tre anni di “hacking” e attenta estrazione e conversione dei file. Il risultato del lavoro consiste in 18 immagini inedite, realizzate dal grande artista americano elaborando foto o disegnando direttamente con il mouse. Le immagini hanno una risoluzione di appena 300×200 pixel.

L’aspetto che più colpisce di questa vicenda – al di là dell’ossessione per l’ennesima opera postuma (in questo caso di dubbio valore) di un grande artista – riguarda la curiosa “archeologia digitale” che il recupero delle immagini di Warhol ha chiamato in causa. I tre anni di lavoro sui file sono stati necessari perché oggi, a trent’anni di distanza, i documenti salvati con un Amiga 1000 sono del tutto illeggibili senza l’intervento di un esperto di informatica. La macchinosità di questo processo suscita una constatazione: se, operando un salto indietro nel tempo limitato alla cosiddetta era Gutenberg (sarebbe infatti possibile tornare anche a epoche più remote), diversi esemplari della prima Bibbia stampata a caratteri mobili –  datata 1455 – sono attualmente ben conservati e facilmente leggibili (a patto che si conosca il latino), i file di computer risalenti anche solo a 30 anni fa soffrono di scarse chance di conservazione e, come dimostrato dalle immagini di Warhol, difficilissime possibilità di lettura. In un’epoca in cui tutto il frutto del lavoro e sapere quotidiano risiede su eterei “cloud” e fragili hard-disk, una riflessione sulla conservazione e trasmissione degli artefatti digitali diventa vitale.

[ illustrazione: computer graphics di Andy Warhol, 1985 ]