La parola “amatore” viene solitamente opposta al termine “professionista”, indicando una versione minore, approssimativa e in definitiva non abbastanza “seria” del sapere teorico e pratico di chi viene formalmente associato a una professione. L’istituzionalizzazione del sapere, così centrale per l’idea stessa di professionalità, riveste oggi più che mai un ruolo egemone: forse ancor più dei titoli di studio, oggi le “certificazioni” rappresentano un ubiquo e apparentemente indispensabile lasciapassare per i più svariati ambiti lavorativi (e non solo), diffondendo la pericolosa opinione che la competenza sia ormai percepita come condizione non sufficiente al riconoscimento del saper fare, da dotare necessariamente di una precisa etichettatura (da ottenersi previo versamento di denaro in favore di enti che prosperano grazie a questo business delle certificazioni). Il professionista, strettamente imparentato con l’esperto e lo specialista (di cui si è parlato qui), è una delle figure chiave di un modo di rivolgersi al sapere che è figlio delle logiche di parcellizzazione e burocratizzazione che, dalla rivoluzione inizio-novecentesca dello scientific management in poi, hanno contributo a definire l’identità dell’uomo occidentale.
Coraggiosamente in antitesi rispetto a una weltanschauung tanto pervasiva, il libro The Amateur (2018) dello studioso inglese Andy Merrifield osa proporre una posizione diversa, che rivaluta il ruolo di ogni sapere capace di anteporre l’amare ciò che si fa a ogni tipo di riconoscimento formale. Grazie al libro scopriamo per esempio che lo scienziato inglese Michael Faraday (1791-1867) seppe andare ben oltre le sue umili origini e la sommaria educazione ricevuta in giovane età massimizzando l’utilità del suo primo impiego, a soli 14 anni, come rilegatore di libri. Circondato dalla parola scritta, Faraday costruì autonomamente un percorso di apprendimento ricco e libero che lo portò pagina dopo pagina ad appassionarsi ai più svariati argomenti scientifici. La sua iniziativa lo condusse, con un grande slancio di coraggio, a scrivere a Sir Humphry Davy (1778-1829) – all’epoca direttore del laboratorio di chimica della Royal Institution di Gran Bretagna – per chiedere impiego come assistente del celebre chimico. La sua richiesta venne accolta e nel 1813, a soli 21 anni, Faraday diede avvio a un percorso di ricerca e scoperte che ha pochi eguali nella storia e che vale da monito di incoraggiamento per ogni “amatore” e per chiunque ritenga che, parallelamente alle vie formali, esistano percorsi di apprendimento di certo meno ortodossi ma per questo non meno interessanti.
[ Illustrazione: fotografia di Michael Faraday, Pictorial Press Ltd / Alamy Foto Stock ]