ANTROPOLOGIA, CAMBIAMENTO, COLLABORAZIONE, COMUNICAZIONE, LAVORO, MOBILITÀ, PERCEZIONE, SOCIETÀ, TECNOLOGIA

Cosa perdiamo quando guadagniamo tempo grazie alla tecnologia?

Con Diario d’antepace (1950) lo scrittore svizzero Max Frisch ha composto un’eterogenea raccolta di note di viaggio, abbozzi letterari, pensieri sulla natura umana. Molte osservazioni contenute nel libro riguardano il ruolo assunto dalla tecnica nel mutare la nostra percezione delle distanze spaziali e temporali. Pensando all’oggi, è senz’altro facile allinearsi al coro di quanti sostengono che i più moderni mezzi di comunicazione connettono “annullando le distanze”. È d’altro canto innegabile che tutti noi facciamo quotidiana esperienza della fredda e impersonale relazione instaurata, tanto in ambito lavorativo quanto personale, da strumenti come le e-mail. Più di sessant’anni fa, Frisch riconosceva con profonda lungimiranza questo fenomeno, notando come:

«Non sappiamo più prendere sul serio delle persone quando non le abbiamo più a portata dei nostri occhi».

In tema di tecnica e annullamento delle distanze, uno dei passaggi più acuti del testo di Frisch è dedicato alle indesiderate conseguenze dell’innovazione legata ai mezzi di traporto e, nello specifico, al treno. In tempi in cui un viaggio Roma-Milano necessita ormai meno di tre ore, è  il caso di chiedersi se guadagnando tempo perdiamo forse qualcosa:

«Esattamente cent’anni or sono, la prima ferrovia attraversava il nostro paese: trenta chilometri all’ora. È chiaro che non ci si poteva fermare lì. Il segno che abbiamo superato il nostro ritmo è nel disappunto che proviamo ogni volta che una macchina ci sorpassa; è vero che noi stessi corriamo a tale velocità che la mia percezione della realtà non ce la fa più a tenerle dietro; ma nella speranza di raggiungere un’esperienza perduta, acceleriamo ancora. È la promessa diabolica che ci attira sempre più verso il vuoto. Neanche un aereo a reazione raggiungerà il nostro cuore. Esiste, sembra, una misura umana che non possiamo modificare, ma solo perdere. Che l’abbiamo perduta, è fuor di dubbio; il problema è ora questo: possiamo riacquistarla e come?».

[ illustrazione: particolare da Il treno di Fortunato Depero, 1926 ]

ARTE, LETTERATURA, POLITICA, SOCIETÀ

La letteratura come insurrezione: Max Frisch e il Quadrato Nero di Malevič

Nella seconda di due lezioni sulla letteratura tenute nel novembre 1981 presso il City College di New York, Max Frisch racconta di un ambasciatore straniero in visita al museo dell’Ermitage. L’ambasciatore si mostra curioso di poter vedere un’opera nascosta negli archivi del museo, negata al pubblico perché considerata socialmente pericolosa. L’opera in questione è il Quadrato Nero di Kazimir Malevič, tela del 1915 che costituisce l’esempio forse più noto dell’arte suprematista, descritta dal pittore in questi termini:

«Questo disegno avrà una importanza enorme per la pittura. Rappresenta un quadrato nero, l’embrione di tutte le possibilità che nel loro sviluppo acquistano una forza sorprendente».

La richiesta dell’ambasciatore viene esaudita e la sua reazione è uno sbigottito “tutto qui?”. Che bisogno c’è di tenere nascosta un’opera che, a ben vedere, il popolo non degnerebbe di uno sguardo? La risposta che l’ambasciatore riceve è la seguente: è vero, il popolo non riuscirebbe a capire il senso del quadrato nero, ma tramite esso vedrebbe che oltre alla società e allo Stato esiste altro. In questo “esiste altro” c’è il senso della letteratura per Frisch, la missione di un’arte che possa contrapporsi al potere.

Quello di Frisch è un discorso politico interamente incentrato sul ruolo della parola e della scrittura: il potere impone una lingua che informa e determina la percezione di sé e il racconto. È la lingua che impariamo a scuola, fatta di luoghi comuni, frasi fatte e stereotipi tarati sugli interessi della classe dominante. Il mestiere di chi scrive è quello di liberare sé e i propri lettori da questa egemonia, andando in cerca di una lingua più autentica, che possa avvicinarsi all’esperienza. Questo è il valore della letteratura come “quadrato nero”:

«Accade che la sua lingua mi liberi […]. Può darsi che inizialmente mi riduca al silenzio, giacché scopro grazie alla letteratura che quelle con le quali convivo sono tutte frasi fatte. E questo significa che non vivo me stesso. [La letteratura] mi sfida. Per dirla in breve: mi fa insorgere. Se questo non succede, leggere è superfluo».

[ illustrazione: Kazimir Malevič, Quadrato Nero, 1915 ]

CULTURA, POLITICA, SOCIETÀ, STORIA

Svizzera: fra difesa e neutralità nelle memorie di Max Frisch

«La nostra volontà di difesa si fondava sulla speranza che la semplice esibizione della nostra volontà di difesa dissuadesse il nemico».

In Svizzera il servizio militare è obbligatorio. A fine 2013, quando un referendum popolare antimilitarista ne ha chiesto l’abolizione, la risposta del 73% della popolazione è stata “no”. Per essere compresa, questa scelta va relazionata – in maniera non dissimile da quella di un successivo e più noto referendum, quello del 9 febbraio 2014 –  alla celebre neutralità della nazione: è dal 1674, anno della prima dichiarazione di neutralità dei Cantoni, che la Svizzera si mostra non più “guerriera” ma pronta a difendersi.

Max Frisch (1911-1991) fu arruolato nell’esercito svizzero a più riprese, con la mansione di cannoniere. In particolare, prestò servizio tra il 1939 e il 1940, momento in cui la Svizzera era minacciata di invasione da parte delle truppe tedesche, secondo i piani della mai attuata “operazione Tannenbaum”. La preparazione dell’esercito svizzero fu organizzata con rigore e disciplina, anche se accompagnata dallo spirito espresso dalle parole citate in apertura, tratte da Libretto di servizio (1974), memoriale dedicato da Frisch alla sua esperienza di soldato.

Partendo dall’autobiografia e assumendo progressivamente il ruolo di critico attento e intransigente, Frisch descrive quello che in quarta di copertina dell’edizione italiana del libro (Einaudi, 1977) viene definito come un “limbo ambiguo”, vale a dire la mescolanza di preoccupazione, opportunismo politico e obbedienza che caratterizzava la società svizzera di quegli anni, realizzandone un ritratto a tutto tondo non privo di amara ironia:

«Decisivo è il senso del quotidiano. Il vero svizzero non si lascia andare alle utopie, per cui si considera un realista. La storia svizzera, così come viene insegnata, gli ha sempre dato ragione».

[ illustrazione: cartolina svizzera, anni ’30 ]

COMPLESSITÀ, LETTERATURA, STORIE

La forza poietica della narrazione

Montauk (1975) di Max Frisch (1911-1991) è un esempio di letteratura autobiografica che riesce, grazie all’universalità della narrazione e al lavoro sullo stile, a costruire un perfetto incastro tra vita e romanzo, facendo spesso dimenticare al lettore il confine fra i due mondi. Quel che colpisce particolarmente è che la compenetrazione tra finzione e realtà è in queste pagine così forte da essere riuscita a influenzare la successiva vita dello stesso Frisch.

Non ci vuole molto per scoprire che dietro il nome della protagonista Lynn si nasconde quello di Alice Locke-Carey, assistente editoriale effettivamente conosciuta da Frisch durante un week-end trascorso a New York nel 1974. A riprova del fatto che la narrazione può mescolarsi alla realtà, i resoconti d’epoca raccontano che in seguito al primo incontro i due persero contatto e che in un successivo tour americano Frisch cercò inutilmente di mettersi sulle tracce di Alice. Fu quest’ultima, dopo la pubblicazione della traduzione americana di Montauk nel 1976, a riprendere contatto con lo scrittore. In seguito i due vissero insieme per alcuni anni, fra New York e Berzona. Mai come in questo caso, lo strumento della narrazione si rivela in grado di incidere sullo sviluppo di reali percorsi di vita.

[ illustrazione: ritratto di Renate von Mangoldt ]