Il 7 giugno 2014, a distanza di 60 anni dalla morte del matematico britannico Alan Turing (1912-1954), il mondo dell’intelligenza artificiale ha celebrato un’attesa vittoria, quella sul celebre test che lo stesso Turing mise a punto nel 1950 e che fino a oggi non era mai stato superato.
Il test di Turing si basa su questa dinamica: un esaminatore dialoga in forma scritta (negli anni ’50 via telescrivente, oggi via chat) con un essere umano e con una macchina. Se quest’ultima riesce a rendersi indistinguibile rispetto alla controparte umana e quindi a ingannare l’esaminatore, il test può dirsi superato. Turing prevedeva che suo il test sarebbe stato “vinto” nell’arco di cinquant’anni; evidentemente, ce ne sono voluti ben sessantaquattro.
Nell’impresa è riuscito il personaggio di Eugene Goostman, “ragazzino virtuale” di 13 anni. I suoi programmatori – di nazionalità russa e ucraina – hanno dedicato gli ultimi dodici anni a questo progetto di “chatterbox”, partecipando a molte competizioni legate al Test di Turing. Ora che l’obiettivo è stato raggiunto, la comunità scientifica internazionale si interroga sul suo significato per la ricerca nel campo dell’intelligenza artificiale.
Per la verità, la maggior parte degli articoli pubblicati in questi giorni mette in discussione il risultato ottenuto dai creatori di Eugene Goostman. Diverse argomentazioni tecniche dimostrerebbero la non idoneità dell’esperimento rispetto alle regole stabilite da Turing. Per una buona sintesi di questi pareri critici, è consigliata la lettura di questo articolo di Paolo Attivissimo.
Le osservazioni più cruciali sulla vicenda sono in ogni caso quelle presentate sul «New Yorker» dallo studioso cognitivo Gary Marcus. Il problema di Eugene Goostman è che si basa, esattamente come tutti i chatterbox che l’hanno preceduto (su tutti il celebre ELIZA, psicoterapista virtuale messo a punto nel 1966), sul riconoscimento di pattern e non certo su una reale abilità di dialogo e risposta. Marcus ricorda che, dal 1950 a oggi, sono state sviluppate molte macchine in grado di svolgere egregiamente un compito verticale e specialistico, come per esempio il super computer IBM Deep Blue che nel 1996 sconfisse lo scacchista russo Garry Kasparov, allora campione del mondo in carica. Ma nessuna macchina è mai stata in grado di dar prova dell’intelligenza “orizzontale” tipica degli uomini. Per tornare a un argomento qui trattato ieri, nessuna macchina – conclude Marcus – può nemmeno lontanamente avvicinarsi alle capacità di apprendimento e intelligenza di un bambino. In questo senso, ammesso che il test di Turing possa considerarsi realmente superato, la ricerca sull’intelligenza artificiale non fa certo passi avanti grazie a Eugene Goostman. Per rendersene conto, basta fare una chiacchierata con lui qui.
[ illustrazione: ritratto fotografico di Alan Turing ]