COMPLESSITÀ, IMMAGINI, PERCEZIONE, RAPPRESENTAZIONE, SEGNI

Abitare la complessità, imparando dalle immagini

«Con le parole presentiamo una accumulazione; con le immagini una totalità. Le parole sono perfette per analizzare un’esperienza; per esprimere la totalità abbiamo bisogno delle immagini».

Questa citazione è tratta da L’ordine complicato. Come costruire un’immagine (2008) di Yona Friedman. Questo testo mette in luce come la gestione di ciò che appare complesso necessiti di strumenti diversi da quelli abituali. Il raffronto fra testo e immagine sta a indicare esattamente questa opportunità: se il testo è senza dubbio lo strumento conoscitivo predominante nella civiltà occidentale, l’immagine – a partire dal suo ruolo defilato (in quanto ritenuta dominio dell’immaginario e non della “verità”) – è in grado di offrire un diverso approccio alla conoscenza, che senza la pretesa di essere “superiore” aiuta a costruire un punto di vista più ricco.

Le immagini sono in grado di esplorare e raccontare la complessità grazie alla loro capacità sintetica. Questo è quanto intende Friedman: la totalità che un’immagine restituisce agevola una comprensione sistemica – e non, come solitamente fa il testo, lineare – di ciò che ci circonda. Disegnare e in generale utilizzare le immagini aiuta, per dirla con gli americani, a costruire una “big picture” di un contesto e dunque a orientarsi meglio al suo interno.

[ illustrazione tratta da L’Ordine Complicato (2008) di Yona Friedman ]

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APPRENDIMENTO, CITAZIONI, INTERNET, IRONIA, PAROLE, SOCIETÀ

L’origine dello spam

SPAM” è il marchio della classica carne in scatola prodotta e commercializzata dal 1937 dall’azienda americana Hormel Food. Nel 1970, all’interno del celebre programma della BBC Monty Python’s Flying Circus, andò in onda uno sketch del celebre gruppo comico britannico incentrato proprio su questa carne in scatola. La presa in giro si basa sulla pervasività del prodotto e sul non riuscire, per i malcapitati protagonisti della scena, a ordinare al ristorante un cibo che non contenga “spam”.

Nel corso del tempo, l’associazione tra l’idea di “spam” e il fatto che qualcosa venga propinato contro la volontà di qualcuno diventa paradigmatica. E così si giunge all’utilizzo del termine per descrivere contenuti indesiderati – specialmente e-mail pubblicitarie – diffusi via internet. Il primo, inconsapevole, generatore di spam fu un utente di USENET di nome Richard Depew, il quale nel marzo 1993 inviò per errore oltre 200 messaggi identici all’interno di un newsgroup. Lo stesso Depew, scusandosi per il fastidio, descrisse i suoi messaggi come “spam”.

[ John Cleese dei Monthy Python in uno sketch legato a “spam”, 1970 ]

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ARTE, COLORI, CULTURA, EPISTEMOLOGIA, SOCIETÀ

A chi fa paura il colore?

In Cromofobia. Storia della paura del colore (2000) l’artista e scrittore David Batchelor costruisce un’accurata indagine storica della “paura” del colore. Si tratta di una tendenza trascurata e spesso considerata in maniera riduttiva e semplicistica ma, come mostrato da Batchelor, estremamente radicata.

Fin dalle origini del pensiero Occidentale, il colore ha subito pregiudizi, emarginazioni, rifiuti. Fondamentalmente, la paura si riduce a un elemento: la minaccia di venire contaminati e corrotti da qualcosa che appare inconoscibile. L’analisi di Batchelor mette in luce due modalità secondo le quali la paura del colore ha preso forma:

«Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo “estraneo”: di solito il femminile, l’orientale, il primitivo, l’infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell’inessenziale o del cosmetico. Nell’una, il colore è guardato come alieno e perciò pericoloso; nell’altra, è percepito soltanto come una qualità secondaria dell’esperienza, e quindi non meritevole di seria considerazione».

[ illustrazione: Piero Manzoni, Achrome – 1958 ]

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ECONOMIA, INDUSTRIA, LAVORO, MANAGEMENT

L’Arsenale di Venezia, culla industriale e manageriale

L’Arsenale di Venezia, oggi familiare soprattutto per gli spazi espositivi che presta alla Biennale, era nel Cinquecento un complesso industriale che dava lavoro fino a 5000 persone. Come nota lo studioso di management Giorgio Brunetti in Artigiani, visionari e manager. Dai mercanti veneziani alla crisi finanziaria (2012), l’Arsenale può essere definito come il primo grande insediamento industriale occidentale dell’età moderna.

La produzione delle galere, pur senza mai giungere a una vera standardizzazione – e dunque continuando ad aderire a un’impostazione artigianale – , offrì occasione per sperimentare diverse modalità di lavoro, organizzazione e rendicontazione. Analizzando i libri contabili del lavoro navale è possibile rinvenirvi una suddivisione per attività e fasi di produzione che racchiude un in sé una prima messa a punto del concetto di costo di produzione.

Quanto alla prospettiva gestionale, i resoconti legati alle problematiche quotidiane del lavoro in Arsenale non affrontavano solamente tematiche pratiche. Giungevano anche a discutere di strutture organizzative, relazioni fra capi e subordinati, disciplina dei rapporti del lavoro. L’attenzione per questi temi mostra che Venezia era fin dal Cinquecento all’avanguardia rispetto ai temi del “maneggio”, destinati a essere codificati anche in Italia come “manageriali” (ma a non prima di quatto secoli di distanza).

[ illustrazione: proiezione iconografica dell’Arsenale di Venezia realizzata da Gian Maria Maffioletti, 1797 – particolare ]

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ECONOMIA, LIBRI, SOCIETÀ, STORIA

Un alveare di 300 anni: un salto nel pensiero di Mandeville

Il celebre poemetto del medico e saggista olandese Bernard de Mandeville (1670-1733), La favola delle api ovvero, vizi privati pubblici benefici giunge nel 2014 a 300 anni e il Sole24Ore del 2 marzo 2014 dedica all’opera un approfondimento.

Non a tutti è noto che il saggio – del 1714 – venne preceduto di qualche anno da uno scritto, sempre in forma di poema satirico, legato a circostanze molto specifiche e non ancora dotato del significato allegorico universale proprio dell’opera più celebre.

Mandeville, trasferitosi a Londra nel 1699, si trovò catapultato all’interno di una polemica fra Tory e Whig che animava il dibattito politico di quegli anni. Oggetto della disputa erano le campagne militari condotte da John Churchill (1650-1722), duca di Marlborough. I Tory accusavano Churchill e in generale i suoi sostenitori Whig di essersi arricchiti grazie alla guerra, insinuando al tempo stesso che l’intero sistema di finanza pubblica, incentrato sulla Banca di Inghilterra, non fosse che un apparato corrotto a uso e consumo dei Whig.

Queste dunque le circostanze che ispirarono il saggio del 1705 di Mandeville, The Grumbling Hive, or Knaves Turn’d Honest (L’alveare scontento, ovvero i furfanti divenuti onesti). Fin da questo primo scritto, lo scopo di Mandeville è quello di mostrare, con gli strumenti dell’allegoria e dell’ironia e senza prendere posizioni, che guerra, corruzione e interessi personali rappresentano un prezzo da pagare per un’economia interna rigogliosa e un governo stabile. Questi principi torneranno dunque nel 1714, rielaborati e ampliati, nella celebre Fable of the Bees: or, Private Vices, Publick Benefits. Per celebrarne la memoria e l’attualità, vale la pena di estrarne un celebre passaggio.

«Essendo così ogni ceto pieno di vizi, tuttavia la nazione di per sé godeva di una felice prosperità, era adulata in pace, temuta in guerra. Stimata presso gli stranieri, essa aveva in mano l’equilibrio di tutti gli altri alveari. Tutti i suoi membri a gara prodigavano le loro vite e i loro beni per la sua conservazione. Tale era lo stato fiorente di questo popolo. I vizi dei privati contribuivano alla felicità pubblica […]. Le furberie dello stato conservavano la totalità, per quanto ogni cittadino se ne lamentasse. L’armonia in un concerto risulta da una combinazione di suoni che sono direttamente opposti. Così i membri di quella società, seguendo delle strade assolutamente contrarie, si aiutavano quasi loro malgrado».

[ illustrazione: particolare dalla locandina del film di Irwin Allen del 1978 The Swarm, che narra di un’invasione di api killer in Texas ]

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