LAVORO, LETTERATURA, MANAGEMENT, STORIE

Come far carriera nelle grandi amministrazioni: gli scritti aziendali di Giorgio Voghera

La vita dello scrittore Giorgio Voghera (1908-1999) è strettamente legata a Trieste, alla cultura della comunità ebraica e alla tradizione del grande romanzo novecentesco. L’opera più importante di Voghera è Il segreto (1961), romanzo di formazione che tanto ha fatto parlare di sé perché pubblicato a nome di un “anonimo triestino” – e dallo stesso Voghera sempre attribuito, fino al momento della morte, al padre Guido.

Un aspetto solo apparentemente secondario dell’opera di Voghera riguarda la rappresentazione del mondo del lavoro, costruita in relazione all’esperienza quasi trentennale come impiegato nell’assicurativa RAS. Voghera vi entrò nemmeno ventenne lavorandovi fino al 1939, quando emigrò, a causa delle leggi razziali, in Palestina. Tornato a Trieste nel 1948, fu riassunto in RAS dove continuò a lavorare fino al 1962, anno in cui decise di dedicarsi esclusivamente alla scrittura. La figura di “scrittore-impiegato” avvicina Voghera alle sorti di altri letterati quali Kafka, Pessoa e il più celebre degli autori triestini, Italo Svevo. La descrizione delle organizzazioni di impresa che emerge dalle sue pagine è carica di accenti complessi e spesso contrastanti, che oscillano tra l’ironico e il disilluso, tra il rancoroso e il consapevole.

La prima opera “aziendale” di Voghera è un leggero pamphlet pubblicato nel 1959 sotto lo pseudonimo di Libero Poverelli. L’emblematico titolo dello scritto è Come far carriera nelle grandi amministrazioni. In questo momento Voghera è ancora impiegato RAS (forse di qui la scelta dello pseudonimo) e quanto emerge dal libro è un distaccato punto di vista sui meccanismi di carriera che contraddistinguono le grandi organizzazioni. Accanto alle dinamiche di de-responsabilizzazione e alle meschine strategie per mettersi in vista di fronte ai superiori, colpisce in particolar modo la descrizione della competenza chiave dei manager:

«Egli dovrà sviluppare tutta una tecnica della superficialità. Dovrà saper parlare a lungo e brillantemente di qualsiasi questione, senza conoscerne la vera sostanza; eludere le domande precise dei superiori, approfittando della loro ignoranza, e quelle degli inferiori, facendosi scudo della propria autorità […]; evitare possibilmente di impegnarsi in ogni concreta azione, che potrebbe mettere in luce la sua incapacità, e impedire nello stesso tempo ai subordinati di svolgere un’azione autonoma: e tutto ciò, pur cercando di dare l’impressione che egli stesso e il suo ufficio sono impegnati in una febbrile attività».

Voghera torna a parlare di vita d’azienda nel 1974 con il romanzo breve Il direttore generale. A distanza di diversi anni dal primo scritto, il tono si fa esplicitamente autobiografico e si dota di una struttura narrativa più forte. In maniera non dissimile da quanto fatto da Goffredo Parise ne Il padrone (1964), la lettura delle dinamiche organizzative passa attraverso la messa in scena del rapporto tra il protagonista, semplice impiegato, e il vertice assoluto dell’impresa: il direttore generale. La critica di Voghera si fa meno didascalica e più complessa, orientandosi non tanto a far emergere il lato grottesco delle dinamiche aziendali – come fatto da Paolo Villaggio nel 1971 con Fantozzi – quanto a descrivere l’intrinseca ambiguità del potere gerarchico, che mescola la meccanica “malvagità” della posizione organizzativa con l’umanità della persona:

«Mi sorrise. Non era il sorriso professionale del dirigente che sa che in determinate situazioni è bene mostrarsi gentili con i sottoposti; non era nemmeno il sorriso con cui si cerca di mettere a proprio agio un ragazzo che può sentirsi timido e sperduto. Era un sorriso affettuoso, il sorriso di un uomo che offre e cerca affetto, e sa, forse, quanto è difficile trovarne di sincero. Un sorriso, a ogni modo, assai singolare sulle labbra di una persona che, a torto o a ragione, ritenevo una dei principali sovvenzionatori del fascismo: delle squadre d’azione che avevano ucciso, manganellato, evirato, incendiato».

[ illustrazione: Edward Hopper, Office in a Small City, 1953 ]