APPRENDIMENTO, MANAGEMENT, PAROLE

Think outside the box

Da dove nasce l’espressione, tanto cara al mondo aziendale, “think outside the box”, da noi tradotta come “pensare fuori dagli schemi”?

In Change: la formazione e la soluzione dei problemi (1973) Paul Watzlawick utilizza il gioco dei “nove punti” (che consiste nell’attraversare tutti i punti con quattro linee rette senza staccare la matita dal foglio) per mostrare che mettere in atto un effettivo – e non superficiale – cambiamento significa uscire dagli schemi e cambiare le regole del gioco. “Think outside the box”, appunto.

Per la verità, seppur popolarizzato da psicologi e “guru” del management durante gli anni ’70, il gioco dei nove punti è ben più antico. La sua prima apparizione risale al 1914, sulle pagine della Sam Loyd’s Cyclopedia of 5000 Puzzles Tricks and Conundrums (with Answers), opera postuma del grande enigmista americano Sam Lloyd (1841-1911).

In questa sua prima edizione il gioco ha una declinazione molto meno astratta, nella quale cui i nove punti diventano uova su un tavolo. Ironicamente, Lloyd immagina che a proporre il gioco agli abitanti dell’immaginaria “Puzzleland” sia Cristoforo Colombo in persona (per associazione, date le uova, con il celebre aneddoto dell’uovo di Colombo).

[ illustrazione: la tavola della Cyclopedia of 5000 Puzzles che contiene – a destra – il “Christopher Columbus famous eggs trick” ]

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CONCETTI, CREATIVITÀ, PAROLE

Quale creatività?

Nel suo Il falò delle novità. La creatività al tempo dei cellulari intelligenti (2013) Stefano Bartezzaghi riflette sull’attuale diffusione – e indubbio abuso – del concetto di creatività. Ne ripercorre le origini, scovandovi un curioso caso di mutazione di significato generatorsi atraverso la traduzione da una lingua all’altra.

Uno dei testi cui più si deve la popolarizzazione del concetto di creatività è un’antologia intitolata The Creative Process: Reflections on the Invention of Art (1952) curata dall’inglese Brewster Ghiselin (1903-2002). Fra le fonti da questi raccolte figura un capitolo tratto da Science et Méthode (1908) del matematico francese Henri Poincaré (1854-1912). Ghiselin ne estrae il capitolo “L’invention Mathématique”, che recupera in una traduzione del 1915 in cui esso è titolato “Mathematical Creation”.

Lo slittamento dal francese inventer all’inglese to create è applicato a tutto il testo, producendo una significativa distorsione del significato originario. Tra l’inventare – che tanto in francese quanto in italiano rimanda al verbo latino invenire, che significa trovare – e il “divino” creare c’è evidentemente una grande differenza. Ed è anche su fraintendimenti linguistici come questo che si è basato, come argomenta Bartezzaghi, il successo della “mitologia della creatività”.

[ illustrazione: viruscomix.com ]

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PAROLE

Per non commettere errori marchiani…

Qual è l’origine dell’aggettivo “marchiano”, tipicamente usato per connotare un errore grossolano?

Secondo la Treccani, a partire dal XIV secolo l’aggettivo viene impiegato per riferirsi in termini generali all’antica Marca di Ancona. Nel corso dei secoli l’aggettivo esce pressoché totalmente dall’uso comune, con un’unica eccezione: lo si utilizza per indicare una particolare varietà di ciliegie, proveniente proprio dalla zona delle Marche, caratterizzata da particolare grandezza.

A inizio Novecento, Gabriele D’Annunzio osserva (nelle sue Prose di ricerca, di lotta, di comando):

«Tutti con la capigliatura al vento, con in mano i berretti colmi di ciliegie duracine e marchiane».

A distanza di ulteriore tempo, la grossolonanità attribuità alle ciliege diventa metaforica – e dispregiativa. Questo il senso di eccessivo, esagerato, madornale (altra parola su cui la Treccani si sofferma e che fa capo all’attributo di maternalità) che associamo al tema dell’errore.

[ illustrazione: Pablo Picasso, La lampe et les cerises – 1945 ]

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