In ambito organizzativo, la dottrina del “pensiero positivo” gode di un solido e duraturo successo. Gli ottimisti, oltre a contribuire a un clima lavorativo sereno, sono in grado di prendere dal verso giusto le difficoltà, risultando resilienti e perseveranti. Il mondo lavorativo è a ogni modo popolato anche dai pessimisti. Il loro atteggiamento, critico per definizione, è a sua volta dotato di lati positivi, soprattutto rispetto alla capacità di prevedere e gestire i cosiddetti worst case scenario.

Molteplici studi – in particolare quelli condotti dagli psicologi Julie Norem and Nancy Cantor – mostrano che quanto aiuta e sostiene una persona mediamente ottimista può rivelarsi deleterio per un pessimista. Questo vale anzitutto per gli stati d’animo: se di norma il buonumore aiuta un ottimista a lavorare meglio, nel caso di un pessimista questo diventa un elemento negativo. Se di buonumore, un pessimista tende ad assumere un atteggiamento eccessivamente rilassato e compiacente che neutralizza la costitutiva dose d’ansia che normalmente anima il suo apporto.

È necessario prestare attenzione anche agli incoraggiamenti: se questi ultimi possono aiutare la performance di un ottimista, rispetto a quella di un pessimista risultano pericolosi. Il motivo di questa reazione va di nuovo individuato nel depotenziamento dello stato di critica allerta che i pessimisti riescono a usare così produttivamente. Un’accresciuta fiducia finisce per minimizzarlo, riducendo concentrazione ed efficacia di un “buon pessimista”.

[ illustrazione: Lisa Simpson – © Matt Groening ]