La rappresentazione dell’ufficio contemporaneo nell’immaginario collettivo sembra essersi cristallizzata in una “time capsule” compresa fra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei primi 2000. La sua iconografia è caratterizzata da una cornice ironica e grottesca, tipicamente americana, il cui esempio perfetto è la striscia Dilbert prodotta dal fumettista Scott Adams dal 1989. Estratti da un fumetto sembrano anche i personaggi del film Office Space (1999) di Mike Judge (che, a proposito di cartoon, è creatore anche di Beavis and Butt-head) e, forse ancor di più, quelli del The Office ideato dal comico inglese Ricky Gervais, non tanto nella serie britannica del 2001 quanto nel remake americano del 2005.
Al pari del fumetto e del cinema, anche la fotografia si è occupata dell’ufficio contemporaneo, proseguendo lungo un filone di documentazione di ambienti e scene di lavoro che trova illustri predecessori, fra gli altri, in Walker Evans, Lee Friedlander o Chauncey Hare. Fra gli artisti attivi fra gli anni ’80 e 2000 spiccano tre fotografi appartenenti all’ultima generazione di “baby-boomer”: lo svedese Lars Tunbjork (1956- 2015), la britannica Anna Fox (1961) e l’americano Steven Ahlgren (1962). Di quest’ultimo si può sfogliare il libro The Office (2022), raccolta di immagini prese fra il 1990 e il 2001.
Proprio come negli esempi cinematografici citati, anche la fotografia porta con sé un’ispirazione fumettistica, evidente soprattutto nello sguardo ironico sempre presente nelle immagini. Ma vi è di più: la natura del medium fotografico lascia spazio a una seconda prospettiva, più emotiva e malinconica, a tratti fors’anche tragica. Ahlgren stesso la riconduce, nelle righe di introduzione al volume, alla pittura di Edward Hopper (1882-1967) e in particolare all’opera Office at Night del 1949 (del resto spesso utilizzata come copertina per saggi e romanzi di tematica inerente al lavoro). Le parole di Ahlgren sono eloquenti:
I was struck by the Hopper painting – oh my gosh, look at this. Here’s a scene in an office where I am every day that seems so pedestrian. I kept coming back to it because, like so many of his paintings, it lets you make up your own story. I was trying to figure it out but I never really resolved in my mind what was happening there.
La nota di Ahlgren aiuta a evidenziare una delle caratteristiche più preziose della fotografia: la sua ambiguità. Il continuo chiedersi “che cosa sta succedendo là” è un’esercizio di osservazione e interpretazione cui ogni buona fotografia, in quanto portatrice di una mistura di oggettività e mistero, conduce l’osservatore. In questo senso, per quanto l’estetica dell’ufficio possa apparire a tratti eccessivamente simbolica e stereotipata e, come notato nelle prime righe, in qualche modo “bloccata” nel ventennio 1990-2000, sfogliare le immagini di Steven Ahlgren porta soprattutto, ancora più che a sorridere, a porsi domande sulla nostra ambivalente relazione con il lavoro.
[ Illustrazione: fotografia dal libro The Office di Steven Ahlgren (2022) ]