Divertirsi da morire. Il discorso pubblico nell’era dello spettacolo (1985) di Neil Postman (1931-2003) rappresenta il testo capostipite del discorso sociologico rivolto al medium televisivo. Sulla scorta di Marshall McLuhan, Postman prende molto sul serio la tv come strumento di comunicazione e più in generale come incarnazione di un nuovo tipo di epistemologia, giungendo a criticarla radicalmente con affermazioni di questo tipo:
«La frase “una televisione seria” è una contraddizione in termini; la televisione parla con una sola voce persistente: la voce dell’intrattenimento».
A distanza di poco meno di trent’anni, in Televisione (2013) Carlo Freccero riprende le fila del discorso di Postman adattandolo allo specifico italiano e alla propria esperienza di autore e dirigente televisivo. È dunque dall’interno del sistema tv che Freccero costruisce la sua analisi del ruolo che questo medium ha rivestito, si può ben dire, rispetto all’educazione di un intero Paese.
Cruciale, nell’evoluzione del ruolo della televisione e della sua capacità di plasmare la coscienza collettiva, è stato il tacito passaggio di consegne avvenuto tra la tv pubblica e quella commerciale. Se da un lato la tv di servizio portò a termine l’unificazione linguistica del Paese, il suo fallimento si espresse nell’incapacità di svincolarsi da un modello educativo che lo stesso medium televisivo (e poi internet) era destinato a rendere obsoleto:
«La televisione di servizio pubblico assomiglia a quel modello di scuola pre-’68 in cui tutto il potere si concentrava nelle mani dell’insegnante e non nel sapere come patrimonio condivisibile e condiviso».
Al contrario, la tv privata di Berlusconi fu capace di innestare un cambiamento morale (che solo oggi siamo in grado di comprendere appieno) legandolo a un atteggiamento compiacente orientato non all’educazione del pubblico ma alla sua fidelizzazione. Il pubblico diventa sovrano e ovviamente, tornando a Postman, l’intrattenimento è il suo fine ultimo. Su questo tema, Freccero è bravissimo a mostrare come il salto da una tv populista a una politica populista sia stato naturale, probabilmente inevitabile.
[ illustrazione: un momento del programma Telemike, 1987 ]