CINEMA, EPISTEMOLOGIA, FILOSOFIA, PERCEZIONE

Fidarsi delle immagini

Martin, cieco dalla nascita, scatta fotografie di tutto ciò che lo circonda. Ne chiede poi una descrizione alle persone che incontra, per quanto sia convinto che gli altri non facciano che mentirgli. Il suo più grande dubbio riguarda le descrizioni degli ambienti della sua infanzia restituitegli da sua madre. Di questi ambienti non gli resta che la muta prova di una fotografia, un’istantanea del giardino di fronte a casa sua che Martin ha conservato senza mai averla mostrata a nessuno. In una sorta di ribaltamento della posizione di Roland Barthes in La camera chiara (1980), Martin assegna all’immagine mai vista un valore di affettività negata, cioè il ruolo di un punctum che non ha mai potuto materializzarsi in mancanza di fiducia nei confronti del valore ontologico dell’immagine.

Istantanee di Jocelyn Moorhouse (Proof, 1991) è un film che parla di fiducia, nelle persone ma soprattutto nelle immagini. La conclusione del film vede finalmente confermato, da parte dell’amico più caro, il racconto della madre di Martin. La fotografia conservata mostra esattamente quel che le parole della donna avevano detto. La fiducia è ritrovata, l’immagine dice la realtà. Secondo l’interpretazione del filosofo Julio Cabrera in Da Aristotele a Spielberg. Capire la filosofia attraverso i film (1999), ciò che alla fine Martin ottiene è una conferma morale dell’esistenza del mondo, una sorta di prova cartesiana che tuttavia non discende dall’evidenza interiore del cogito ma piuttosto dal fuori, dal mondo descritto attraverso un’immagine.

Si tratta di avere fiducia nelle immagini, dunque. E anzitutto capire perché a certe crediamo e ad altre no. Le istantanee, a rischio praticamente nullo di manipolazione, sono per tradizione immagini di cui ci si può fidare, impronte del reale su carta fotografica. Molto meno ci fidiamo di altri tipi di immagini, in particolare di quelle digitali. È senz’altro la parentela con il computer, denunciata dall’inevitabile tramite dello schermo/monitor, ad accomunare la maggior parte delle immagini con cui abbiamo a che fare oggi, ombre mutevoli e sfuggenti. Tuttavia, poiché a essere etichettati come “new media” sono soprattutto i media con i quali non siamo cresciuti, la mancanza di fiducia nei confronti di queste immagini è a ben vedere relativa, generazionale e affettiva.

Comprendere la relazione che ci lega a diversi tipi di immagini significa affrontare con rinnovata consapevolezza i rapporti interpersonali. Il problema delle immagini è anzitutto un tema culturale e antropologico, che mette in gioco il nostro modo di guardare al mondo. Non restare imprigionati fra le tante immagini che pulsano sui nostri monitor è una necessità urgente tanto quella di far fronte alle attuali forme di dislocazione e frammentazione che trasformano i rapporti sociali.

[ illustrazione: fotogramma da Proof di Jocelyn Moorhouse (1991) ]