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I primi 40 anni del codice a barre

Simbolo del dominio del mercato sulla vita, il codice a barre è con noi da 40 anni. Emanazione del pragmatismo americano, il barcode non è privo di implicazioni sinistre, soprattutto quando prende la forma critica di tatuaggi che sembrano evocare, oltre che segnali di omologazione culturale, ben più sinistri eventi della storia novecentesca.

Il primo articolo acquistato grazie alla mediazione di un codice a barre fu, il 26 giugno 1974 alle ore 08.01 in un supermercato dell’Ohio, un pacchetto di gomme da masticare “Wrigley’s Juicy Fruit”. Il codice utilizzato, noto come Universal Product Code (UPC) era del tutto simile a quelli che oggi vengono scansiti, stando alle statistiche, circa due miliardi di volte al giorno in tutto il mondo.

La storia del codice a barre inizia tuttavia ben prima, portando con sé un particolare stilistico curioso. Il pioniere di questo sistema di codifica fu Norman Joseph Woodland (1921-2012), ingegnere che mise a punto una prima versione del sistema pensando al funzionamento del codice Morse. Il brevetto originario di barcode – registrato nel 1949 – aveva l’aspetto di un bersaglio, nel quale la codifica di un dato era ottenuta attraverso la combinazione di cerchi concentrici. Questa versione non si rivelò del tutto efficace e non venne mai utilizzata fuori da un laboratorio. Woodland, nel frattempo passato in forze all’IBM, lasciò il progetto in eredità ai suoi colleghi. Fra questi, fu George Laurer a mettere a punto il barcode di forma rettangolare utilizzato per la prima volta nel 1974 e che tutti conosciamo.

[ illustrazione: studio per il primo codice a barre messo a punto da Joseph Woodland nel 1948 ]