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Ma che cos’è davvero la holacracy?

Un articolo di Steve Denning per Forbes mette in atto un’utile chiarificazione di alcuni aspetti centrali della logica organizzativa holacracy, recentemente salita alla ribalta delle cronache internazionali per via della sua adozione da parte dell’azienda americana Zappos. Le osservazioni contenute nell’articolo si basano su un’analisi della corposa”constitution” dell’approccio.

Il primo aspetto su cui Denning si sofferma è la supposta avversione alle gerarchie che molti articoli hanno attribuito alla logica holacracy. In realtà, ogni gruppo di lavoro – definito “circolo” è sì dotato di autonomia gestionale, ma strettamente dipendente quanto all’assegnazione di obiettivi dal circolo gerarchicamente superiore. In termini di lavoro per obiettivi, questo approccio non si distanzia dunque da quanto praticato da altri approcci organizzativi.

Un ulteriore “mito” su olacracy sfatato da Denning riguarda la dichiarata assenza di figure manageriali. Qui la questione è in verità molto semplice: se pur a fronte della dismissione del termine “manager”, il sistema prevede la presenza di ruoli e responsabilità altrove tipicamente etichettati in questo modo. Si tratterebbe quindi solo di una questione terminologica ed “estetica”.

Dalla lettura critica di Denning emerge un importante aspetto finora non messo in luce da altri commentatori, cioè il ruolo di secondo piano attribuito dalla holacracy alla figura del cliente. In questo senso, holacracy si mostra come una filosofia organizzativa molto autoriferita e priva di reali meccanismi di feedback con il cliente. Questo costituisce, secondo Denning, un aspetto decisamente critico soprattutto per le startup e limiterebbe quindi un efficace impiego della holacracy a imprese già solide rispetto al rapporto con i propri clienti (il caso di Zappos rientrerebbe secondo Denning in quest’ultima categoria).

[ illustrazione: Alexander Calder, Les Pyramides Grandes, 1973 ]