Tradurre significa, secondo l’etimologia latina del verbo, trasferire, spostare o ricollocare. Quando traduciamo un testo, trasportiamo un significato – che solitamente riteniamo astratto – da una lingua all’altra. L’operazione non è facile: chiunque vi si cimenti seriamente presto o tardi scopre che, come si suol dire, “tradurre è tradire”. Questo accade perché nessun concetto può essere del tutto astratto dalle parole usate per esprimerlo all’interno di una certa lingua. Chi traduce deve mettere in conto il fatto di poter perdere per strada qualcosa che è spesso ineffabile perché ha a che fare con i tratti idiosincratici di una cultura e con gli elementi estetici di uno specifico linguaggio.
Su questi temi riflette, attraverso la sensibilità dell’illustratrice americana Ella Frances Sanders, il libro Lost in Translation
(2014). Il volume è un peculiare vocabolario che affianca a ogni parola selezionata, espressa nel suo linguaggio originario, una sua duplice parafrasi: alcune righe di testo che la descrivono per sommi capi (in inglese) e una illustrazione che la rappresenta. La selezione è ben curata e ricca di spunti di riflessione sui paradossi della traduzione. Partendo dall’italiano: siamo sicuri che sia semplice trasferire in un’altra lingua l’idea espressa dal verbo “commuovere”? Oppure, pensando alla lingua tedesca, come tradurre in una parola il concetto di “kummerspeck”, che indica il processo per cui si assume peso mangiando eccessivamente a causa di un trauma emotivo? O ancora: come rendere appieno l’idea indiana, recentemente popolarizzata dagli studiosi dell’innovazione frugale, di “jugaad”? Questi e molti altri esempi animano le pagine di Lost in Translation, testo che si lascia sfogliare con piacere accrescendo nel lettore la consapevolezza dell’incommensurabilità fra lingue e culture, nonché il piacere della scoperta e del confronto con il diverso.
[ illustrazione: immagina tratta dal libro di Ella Frances Sanders Lost in Translation (2014) ]