Praticate il multitasking? Forse può interessarvi il punto di vista con cui lo analizza la studiosa americana Sherry Turkle nel suo eccellente Insieme ma soli. Perché ci aspettiamo sempre più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri (2012), uno dei migliori testi sul nostro rapporto con computer e affini.
Anche se moltissime persone sono convinte del contrario, gli psicologi cognitivi ci insegnano da tempo che il multitasking, molto semplicemente, non funziona. Su questo tema, uno dei migliori contributi è contenuto in Pensieri lenti e veloci del premio Nobel Daniel Kahneman. Pur allineandosi alle tesi di Kahneman e altri studiosi, Turkle nota qualcosa di tanto evidente quanto, per certi versi, antiaccademico: anche se non funziona, il multitasking riscuote comunque molto successo, soprattutto nelle frenetiche pratiche d’ufficio quotidiane. Qual è il motivo di questo successo? Secondo Turkle, le cose stanno così:
«Multitasking feels good because the body rewards it with neurochemicals that induce a multitasking “high.” The high deceives multitaskers into thinking they are being especially productive. In search of the high, they want to do even more. In the years ahead, there will be a lot to sort out. We fell in love with what technology made easy. Our bodies colluded».
I computer fanno molte cose insieme, apparentemente con facilità: perché noi non dovremmo? Il fenomeno del multitasking mostra quanto la frequentazione quotidiana di strumenti informatici possa distorcere la nostra percezione e portarci a sopravvalutare le capacità cognitive di cui disponiamo. L’aspetto più interessante – e insieme paradossale – messo in luce da Turkle è che l’estensione della metafora informatica alle capacità umane, fenomeno del tutto intellettuale, ha finito per generare un illusorio “star bene” del tutto fisico.
[ illustrazione: Wesley Adams ]