ARCHITETTURA, CITTÀ, INDUSTRIA, LAVORO, UFFICI

Olivetti e Ivrea: il fallimento del sogno industriale e il declino di una città

Il 1959 è un anno cruciale per Olivetti e per l’intera industria italiana: viene presentato Elea 9003, primo computer mainframe al mondo interamente basato su transistor. Olivetti è l’avamposto italiano della rivoluzione elettronica incarnata dai calcolatori, raccontata per l’occasione da un fantascientifico documentario (regia di Nelo Risi, musiche di Luciano Berio). Rispetto allo sviluppo sul territorio, dopo la sede aperta a Pozzuoli ci si volge all’area di Rho (alle porte di Milano), coinvolgendo l’architetto più in linea con il pensiero olivettiano, Le Corbusier. L’azienda – che complessivamente supera i 50.000 dipendenti – è guidata dall’imprenditorialità illuminata di Adriano Olivetti (1901-1960). Un riferimento che oggi, a oltre 50 anni di distanza, si continua a studiare e celebrare, unione di spirito scientifico e umanistico che affida ruoli dirigenziali a intellettuali e letterati (fra gli altri Musatti, Fortini, Volponi, Ottieri, Gallino). Ivrea, storica sede in cui il padre di Adriano, Camillo (1868-1943), diede avvio all’impresa nel 1908, è un esempio di welfare aziendale senza pari in Italia.

Pochi anni dopo, il sogno comincia a sgretolarsi. Nel 1960, dopo la morte di Adriano, è il figlio Roberto (1928-1985) a prendere in mano l’azienda e il piano per la nuova sede di Rho. Nel 1962 il progetto viene completato, ma vicende interne all’azienda ne rallentano la realizzazione: in seguito a difficoltà di gestione, la divisione elettronica viene venduta nel 1964 alla General Electric. Nel 1965 sopraggiunge la morte di Le Corbusier, che congela per sempre il progetto di Rho lasciandolo in eredità alle future speculazioni degli studiosi di architettura industriale – fra queste spicca il volume Le Corbusier e Olivetti. La «Usine Verte» per il Centro di calcolo elettronico di Silvia Bodei (2014). Alla morte di Roberto, nel 1985, l’azienda è già da quasi dieci anni in mano a Carlo De Benedetti, al quale si deve l’abbandono del mondo dell’informatica a favore di una forse coraggiosa ma certo sfortunata avventura nel mondo della telefonia mobile. Cosa è avvenuto in seguito? Come ricostruito da un articolo di «Pagina 99» del 14.06.14, Olivetti fu vittima di un progressivo piano di smantellamento da molti descritto come “omicidio industriale”.

Oggi l’azienda continua a esistere, come piccola controllata del gruppo Telecom. I suoi dipendenti sono meno di 600, impegnati nella progettazione e commercializzazione di prodotti per il settore bancario e postale che vengono realizzati in Cina. Del progetto di welfare olivettiano restano tracce ovunque a Ivrea: nelle architetture, nello spirito imprenditoriale che ha dato vita a diverse micro-imprese iperspecializzate e, soprattutto, nei risparmi delle classi lavorative degli anni passati, sulle cui spalle si appoggiano i più o meno fortunati tentativi imprenditoriali dei giovani lavoratori d’oggi. Cercando di svincolarsi dal suo passato industriale, Ivrea ha nel frattempo intrapreso due nuove avventure, quella dei call center (oggi messa in crisi dalle varie delocalizzazioni) e quella dello studio televisivo canavese Telecittà, dove si gira da anni il serial tv Centovetrine (che continua a dare lavoro a circa 300 persone, benché nel 2012 abbia rischiato la chiusura). Nel frattempo, la tradizionale “battaglia delle arance” di Ivrea ha segnato nel 2014 il suo record di presenze.

[ illustrazione: show room Olivetti in Svizzera, 1957 ]

CULTURA, INDUSTRIA, LAVORO, LETTERATURA, MANAGEMENT

Il ruolo dell’intellettuale in azienda, secondo Ottiero Ottieri

Ottiero Ottieri (1924-2002) è uno dei protagonisti della letteratura industriale italiana, nonché membro di un privilegiato gruppo di intellettuali scelti da Adriano Olivetti per il suo progetto industriale insieme scientifico e umanistico (fra gli altri: Giovanni Giudici, Franco Fortini, Paolo Volponi, Leonardo Sinisgalli, Geno Pampaloni, Libero Bigiaretti). L’esperienza in Olivetti è raccontata da Ottieri, oltre che nella sua opera più celebre Donnarumma all’assalto (1959), in una raccolta di taccuini redatta fra il 1948 e il 1958 e pubblicata prima sulla rivista «Menabò» come Taccuino Industriale e infine, nel 1963, per l’editore Bompiani con il titolo La linea gotica.

L’arco temporale 1948-1958 è per Ottieri cruciale nella formazione del suo punto di vista rispetto all’azienda industriale italiana. Giovane di buona famiglia e intellettuale mai davvero integrato, Ottieri si avvicina al mondo delle grandi aziende anzitutto per comprendere se stesso e il proprio tempo, muovendosi tra Roma e Milano e memore della propria gioventù toscana (luogo sentimentale in cui si colloca la personale  “linea gotica” del titolo).

Da un passaggio aziendale all’altro – cruciale quello dallo stabilimento Olivetti di Pozzuoli, spunto per molte osservazioni di questo testo e del già citato Donnarumma all’assalto – , Ottieri si confronta con l’ethos aziendale e con i suoi strumenti (su tutti, la gestione delle risorse umane e la psicotecnica), senza riuscire a giungere a una sintesi fra elementi costruttivi e contraddizioni del proprio ruolo. In questo senso, le parole di Ottieri costituiscono una testimonianza fondamentale per riflettere sul ruolo dell’intellettuale in azienda, figura del resto ormai scomparsa.

«Visto che lavoro molto, tutto il giorno, potrei diventare un dirigente […]. Il mondo lo vuole. Il buon senso lo vuole. Ma un intellettuale ha, per assurdo, una mentalità da operaio, che, sgobbando, sogna i soldi facili, la libertà. Delude il mondo, perché la sera aspetta il campanello per fuggirsene a casa, dove incomincia un pezzettino di vita».

[ illustrazione: stabilimento Olivetti di Pozzuoli, operai del reparto presse, anni ’50 ]