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La lettura digitale e le vicine/lontane sorti di Italo Svevo e Steve Jobs

Difficile immaginare personaggi meno compatibili di Italo Svevo (1861-1928) e Steve Jobs (1955-2011). A differenziarli sono il tempo e il luogo in cui hanno vissuto, la professione, il ruolo sociale. Ad avvicinarli sono oggi, inaspettatamente, i dati di lettura raccolti in Italia da Amazon: sui dispositivi Kindle i due libri maggiormente “sottolineati” sono La coscienza di Zeno (1923) e Steve Jobs di Walter Isaacson (2011).

Le citazioni più estratte da Svevo sono queste:

«È un modo comodo di vivere quello di credersi grande di una grandezza latente».
«Il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senz’obiezioni, il destino».
«È proprio la religione vera quella che non occorre professare ad alta voce per averne il conforto di cui qualche volta — raramente — non si può fare a meno».

Quelle tratte dal libro di Isaacson le seguenti:

«Gli insegnai che, se si agisce come se si fosse in grado di fare qualcosa, quel qualcosa si realizza. Gli dissi: fa’ finta di avere il controllo assoluto della situazione e la gente penserà che tu ce l’abbia davvero».
«Ripeteva che non bisogna mai fondare un’azienda con l’obiettivo di diventare ricchi. L’obiettivo dev’essere produrre qualcosa in cui si crede e creare un’industria che duri nel tempo».
«Siccome non sapevo che non si poteva fare, mi sentivo in grado di farlo».

Se l’accostamento tra i due personaggi è già di per sé curioso, giustapporre le citazioni tratte dai libri dà vita a un bizzarro mash-up in cui profonde riflessioni sul destino dell’uomo si mescolando a spunti motivazionali di stampo aziendale. E viene da chiedersi: Svevo sta in cima alla classifica solo perché è scaricabile gratuitamente o perché in fondo gli italiani, pur leggendo poco, leggono bene? E con Isaacson come la mettiamo? E ancora: saranno in molti ad avere entrambi i libri sul Kindle? Al di là del piacere di gusto “pop” del trovare accostati mondi così lontani, interpretare i dati di Amazon è praticamente impossibile. Il futuro degli studi sulla “letteratura digitale” è destinato a essere caratterizzato molto più da curiose casualità che dalla possibilità di indagini critiche.

[ illustrazione: Henri Matisse, Natura morta con libri e candela, 1890 ]

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L’origine dello spam

SPAM” è il marchio della classica carne in scatola prodotta e commercializzata dal 1937 dall’azienda americana Hormel Food. Nel 1970, all’interno del celebre programma della BBC Monty Python’s Flying Circus, andò in onda uno sketch del celebre gruppo comico britannico incentrato proprio su questa carne in scatola. La presa in giro si basa sulla pervasività del prodotto e sul non riuscire, per i malcapitati protagonisti della scena, a ordinare al ristorante un cibo che non contenga “spam”.

Nel corso del tempo, l’associazione tra l’idea di “spam” e il fatto che qualcosa venga propinato contro la volontà di qualcuno diventa paradigmatica. E così si giunge all’utilizzo del termine per descrivere contenuti indesiderati – specialmente e-mail pubblicitarie – diffusi via internet. Il primo, inconsapevole, generatore di spam fu un utente di USENET di nome Richard Depew, il quale nel marzo 1993 inviò per errore oltre 200 messaggi identici all’interno di un newsgroup. Lo stesso Depew, scusandosi per il fastidio, descrisse i suoi messaggi come “spam”.

[ John Cleese dei Monthy Python in uno sketch legato a “spam”, 1970 ]

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