In La nuvola di smog, racconto del 1956 di Italo Calvino (1923 – 1985), prende forma una aspra lettura dei rapporti interpersonali nella società dei consumi. Superficialità e opacità delle relazioni, meccanicamente definite da rapporti di classe e status, sono metaforicamente rappresentate dall’oscura entità evocata dal titolo del racconto: lo smog.

La nuvola che sovrasta l’ambiente metropolitano genera una patina di polvere e sporco che copre oggetti e situazioni della vita quotidiana e lavorativa. L’oppressione è vissuta con passività e inedia, senza slanci di autenticità. La dialettica fra sporco e pulito, minaccia di contaminazione e purezza, non corrisponde per Calvino a una rivendicazione “ecologica” ma piuttosto a una denuncia di meccanismi sociali – oliati dalle precise logiche del mondo del lavoro – che sembrano creare nuovi problemi semplicemente per poter ideologicamente “vendere”, in maniera del tutto autoreferenziale, nuove soluzioni. E se l’anonimo protagonista del racconto confessa di non trovarsi poi tanto male nello smog, non è affatto contraddittorio che egli lavori per un ente votato alla “purificazione dell’atmosfera urbana dei centri industriali”, da lui descritto con queste parole:

«Una creatura dello smog, nata dal bisogno di dare a chi lavorava per lo smog la speranza d’una vita che non fosse solo di smog, ma nello stesso tempo per celebrarne la potenza».

[ illustrazione: Berndnaut Smilde, Nimbus II, 2012 ]