Quello della continuità, a fronte di variazioni di forma e mezzo, è un risultato difficile da perseguire per qualsiasi artista. Le istantanee di Andrej Tarkovskij (1932-1986) raccolte nel libro fotografico Luce istantanea (2002) riescono in questo difficile compito, restituendo sensazioni visive assai vicine a quelle trasmesse dal grande regista in film come Lo Specchio (1975) o Stalker (1979).
Verso la fine degli anni ’70 Tarkovskij “scoprì” la Polaroid, realizzando molte immagini durante i suoi spostamenti tra Russia e Italia. La “luce istantanea” di uno strumento fotografico semplice è messa al servizio di un’attenzione che si volge a piccoli frammenti domestici o a spazi naturali carichi di placida trascendenza. In tutte le immagini prevale la riflessione personale impressa dal regista sulla pellicola, attraverso un senso dell’esperienza che, come notato dal fotografo Giovanni Chiaramonte in un commento alla raccolta, si fa ricordo.
Queste immagini sembrano accompagnare la profonda indagine di Tarkovskij sul senso del tempo, tema centrale della sua produzione cinematografica oltre che delle più esplicite riflessioni del saggio Scolpire il tempo (1988). In relazione alle note contenute in questo testo riguardo al ruolo dell’arte per la conoscenza e più in generale a un’esperienza autenticamente fenomenologica del mondo, il senso delle Polaroid di Tarkovskij pare interamente catturato da questo pensiero:
«Naturalmente l’uomo si avvale di tutto il patrimonio di conoscenze accumulato dall’umanità, ma tuttavia l’esperienza di autoconoscenza morale, etica, costituisce l’unico scopo della vita di ciascuno e soggettivamente viene vissuta ogni volta come un’esperienza totalmente nuova».
[ illustrazione: Andrej Tarkovskij, Mjasnoe, 1980 ]