«La realtà del nostro secolo è la tecnologia: l’invenzione, costruzione e manutenzione di macchine. Impiegare la macchina significa possedere lo spirito del secolo. Le macchine hanno preso il posto dello spiritualismo trascendentale del passato. Tutti sono uguali di fronte alla macchina, sia io che te possiamo usarla. Essa può schiacciarmi e lo stesso può succedere a te. In tecnologia non esiste tradizione né coscienza di classe: tutti possono essere padroni, ma anche schiavi».

Così affermava László Moholy-Nagy (1855-1946) nel 1922 in un testo intitolato Konstruktivismus und Proletariat. Non è indebito attribuire una buona parte dell’ispirazione di queste parole all’attività di fotografo di Moholy-Nagy e dunque alla sua esperienza con il fotoapparat, simbolo – per lo meno da Walter Benjamin in poi – della tecnicizzazione che investe il mondo dell’immagine e, più in generale, della comunicazione. Le parole di Moholy-Nagy indicano inoltre una rivoluzione copernicana interna alla relazione fra artista e suo strumento d’elezione. La macchina fotografica non è un pennello: la sua peculiare natura tecnica influenza sia il contenuto del messaggio che il suo produttore.

A distanza di sei decenni, Vilém Flusser (1920-1991) scrive nel suo Per una filosofia della fotografia (1983) quanto segue:

«Al giorno d’oggi, la maggior parte degli uomini è impiegata in e ad apparecchi che programmano e controllano il lavoro. Prima dell’invenzione degli apparecchi, questo genere di attività era considerato un “servizio”, “terziario”, “lavoro intellettuale”, insomma un epifenomeno, oggi è al centro di tutto. Per questo, le analisi della cultura devono applicare la categoria dell’“informazione” anziché quella del “lavoro”».

Si tratta di una lettura del rapporto fra uomo e tecnica che parte di nuovo dalla fotografia (anticipando per molti versi quanto le tecnologie digitali hanno generato negli anni seguenti) e  si spinge fino a dar conto di una profonda mutazione del mondo del lavoro. Se “proletariato” era ancora un concetto centrale per Moholy-Nagy (fin dal titolo del suo scritto), per Flusser questa idea chiave della modernità risulta soppiantata dal modo in cui la tecnologia ci ha resi anzitutto “lavoratori culturali”. Ancora una volta, la fotografia si conferma un’ottima metafora per interpretare la contemporaneità.

[ illustrazione: László Moholy-Nagy, Photogram of Flower Petals, light and objects, 1930 ]