Nel contesto dei workshop manageriali che gestiamo con l’approccio Jazz for Business, abbiamo spesso modo di lavorare su temi comunicativi legati all’ambiguità e al malinteso. Il linguaggio musicale è particolarmente efficace nel mostare come la sola mutazione del tono di un messaggio – a contenuto invariato – possa trasformarne completamente il significato.

In termini musicali, un effetto particolarmente straniante è generato dal suonare un brano nella tonalità opposta a quella per cui è stato pensato: da minore a maggiore, o viceversa. Per fare un esempio pop, si può usare la celebre Losing My Religion dei R.E.M., che grazie a YouTube è possibile ascoltare in versione originale (cioè in tonalità minore) e artificialmente trasposta in chiave maggiore. Nella seconda versione il brano non suona soltanto “male”: quel che accade è che il suo senso non è più quello di partenza, con un evidente contrasto tra musica e testo.

Anche le nostre conversazioni tendono ad avere un tono maggiore o minore, in base all’umore che trasmettono. Gli studiosi Meagan Curtis e Jamshed Bharucha hanno dimostrato in uno studio dal titolo The Minor Third Communicates Sadness in Speech, Mirroring Its Use in Music (2010) come l’intervallo di terza minore, usato in musica per comunicare tristezza almeno dal XVII secolo, sia lo stesso che utilizziamo per esprimere con la nostra voce un concetto triste. Il tono delle nostre parole non mente, e quando cerchiamo di camuffarlo, andiamo incontro a un effetto simile a quello del brano dei R.E.M.

[ illustrazione: Rita Hayworth fotografata nel 1944 per il musical Cover Girl ]