E se l’egemonia culturale planetaria provenisse da oriente invece che da occidente? O quanto meno: quale mondo vivremmo oggi se l’oriente fosse stato in grado di mantenere le proprie culture più indipendenti da quelle occidentali? Sono domande tanto speculative quanto attuali e nello specifico a porsele è Jun’ichirō Tanizaki, autore noto per romanzi come La chiave e Neve sottile, nel suo saggio del 1933 Libro d’ombra. Dal testo emerge l’ambivalenza di una rivendicazione carica di orgoglio e disillusione: che parli di riscaldamento, illuminazione o allestimento dei bagni, Tanizaki mette in discussione l’egemonia occidentale e le risponde mettendo in luce un diverso modello valoriale, estetico e pratico.

Citando lo scrittore Saitō Ryokuu, in un passaggio del suo testo Tanizaki si sofferma sull’espressione “l’eleganza è fredda”, che descrive enigmaticamente la relazione orientale con il piacere estetico. Attorno a questa stessa espressione, reinterpretandola da par suo, nel 1982 Goffredo Parise costruisce il suo reportage romanzato sulla terra del sol levante, intitolato L’eleganza è frigida. Il testo di Parise descrive, quasi a confermare i timori di Tanizaki, un Giappone per lo più occidentalizzato –  senz’altro molto diverso dalla Cina autentica e rurale narrata dallo stesso Parise in Cara Cina nel 1966 – in cui la tradizione emerge come eccezione o curiosità orientata a uno sguardo turistico. Colpiscono in particolare alcuni passaggi sulla lucentezza e pulizia di automobili tirate a lucido, in netto contrasto con l’enfasi data da Tanizaki a ciò che definisce nare o “lustro delle mani”, cioè la patina che si deposita sulle cose con il loro uso nel corso del tempo. Alla brillantezza ricercata dall’occidente, Tanizaki oppone una bellezza oscura e offuscata, di cui diventa simbolo il toko no ma, nicchia domestica che valorizza piccoli oggetti (quadri, calligrammi o fiori) tramite una messa basata su un’ombrosa e sfumata nobiltà.

Seppur costantemente esposto a un rischio di smarrimento, vi è un senso estetico orientale – nello specifico giapponese – che attraversa le epoche e giunge a noi grazie all’espressione, difficile da tradurre letteralmente, wabi-sabi. Come esposto da Leonard Koren nel suo testo Wabi-sabi per artisti, designer, poeti e filosofi, questo concetto indica la valorizzazione dell’imperfetto, del diveniente e dell’incompleto. La bellezza del wabi-sabi sta in ciò che cambia, nel delicato e nell’effimero. Per questo, tornando a una delle riflessioni di Parise, per un giapponese una giornata piovosa può essere bellissima, per ragioni puramente estetiche molto lontane dai canoni occidentali di bellezza. La scoperta del concetto di wabi-sabi può aiutare anche un occidentale a scoprire che esiste, proprio come Tanizaki ha inteso suggerire, un diverso modo di guardare il mondo.

[ Illustrazione: Tohaku Hasegawa, Schermo con pini (Shōrin-zu byōbu 松林図 屏風), circa 1595 ]